Ricordi che la gente del posto conserva
Vidi i piccioni che si radunavano verso il Crystal Palace, ma mia madre, ricordandomelo, ripeté: "No, Cristina, è il Padiglione Rosa Mota!"
"Mamma, a quel tempo Rosa Mota doveva avere due anni; non era il Padiglione Rosa Mota. Quel nome è recente!" Ma lei insistette, e io la lasciai insistere. "Sai, l'edificio non era così. Era un padiglione diverso (un palazzo, per l'amor del cielo), non aveva nemmeno quegli edifici intorno. Aveva già il lago, che credo fosse più pulito di adesso!" Dove avevo già sentito la storia, che all'epoca, durante le quindici feste del riso al mese, tutto era molto meglio, o addirittura meglio, buono? L'aria era permeata di fascismo. In verità, non era tutto così. Forse bisognerebbe dire che i viali erano più ampi, forse più puliti, che gli edifici erano più nuovi, che ora hanno la facilità di camuffarsi da nuovi servizi e modernità, che sono meno gotici, meno barocchi, meno Dona Maria, meno Dom Manuelino, meno Pombalino – va bene, ma questo è ciò che abbiamo oggi, tra la scatola di fiammiferi e la pretesa di durare più a lungo di quanto valgano. E oggi valgono milioni di investimenti, e domani vengono venduti a un'asta pudica e non pubblica, per ben meno della metà dell'investimento. Che tutto brucia come un fiammifero, alla velocità del consumo. Ieri era verde, domani è maturo, cosa possiamo farci? Sono prospettive che nascono e si sospedono nel presente e nei temi di oggi. Non c'era bisogno di romanticizzare nulla. Per me era un bene, non ricorrere al meglio, perché andava oltre le mie considerazioni, parlare di questi nuovi edifici che emergevano, perpendicolari ai giardini del Crystal Palace, dove si proiettavano film epici e cicli tematici, dove si discuteva di storia, si recitava poesia e dove si potevano vedere film in 4D e forse in 5D, un giorno. E concerti musicali, anche classici, oh sì! Guardai il cielo e poi il volto sereno di mia madre. Quella panchina ci aveva invitato, in una delle nostre passeggiate, dopo i periodi della nostra prigionia, all'esercizio di riflettere sulla città di ieri e di guardarla attraverso le lenti di oggi, entrambi operati per i rispettivi glaucomi e con un'iride interessata alle differenze e alle somiglianze della storia della città, carica di sfumature significative che parlavano di altri popoli prima di noi e, certamente, sarebbero arrivate a riflettere il presente, a cui ci era stato assegnato di appartenere e di esprimere le nostre opinioni, oggi, su quella panchina.
"Nemmeno i pavoni sono più gli stessi, mamma. Credo di ricordarli da bambina, meno aggressivi; ora strillano forte e mordono. Tutto cambia, a seconda delle persone che abitano quegli spazi. L'energia che alimenta le geografie è diventata contagiosa, caotica e versatile." Non ero del tutto sicura di cosa intendessi, ma lo dissi comunque, e mi suonò vuoto. Il vuoto era uno spazio attuale, contemporaneo, stravagante e utile, dove essere vuoti o essere vuoti era la qualità essenziale per far posto al nuovo. I tempi che si avvicinavano chiudevano i cicli e aprivano nuovi allineamenti, scoperte fantastiche e promesse insondabili.
"Mamma, e se andassimo a piedi fino a quella panetteria, laggiù accanto a Pedro Cem?" Sospirò e aggiunse: "Sai, ricordo ancora di essere passata da queste parti e di essere entrata in una pasticceria con una bellissima terrazza, e c'erano diverse persone che si godevano il calore e le mode, e bevevamo vino da tazze da tè. Si chiamava tè freddo."
Certo, il succo d'arancia non sarebbe stato nei pensieri di un bel pomeriggio estivo per una donna che aveva da poco compiuto ottant'anni e che aveva giurato di restare in vita e di voler andare a una cena danzante da qualche parte a Leça. Uno di questi giorni, ma quando? Presto. La donna accanto a me, con l'aria stanca e il viso sereno, era diversa da quella che mi aveva parlato l'anno scorso di vivere più a lungo e meglio, di stare al passo con il progresso, proprio come Manoel de Oliveira, che progettava cosa avrebbe fatto del tempo, dopo che le ricerche di parole erano diventate troppo prevedibili, i tappeti di Arraiolos erano diventati spenti e noiosi, i godés e i dipinti avevano esaurito i loro dolori depressivi e li avevano spinti nell'arco cieco della difficoltà respiratoria, della mancanza di appetito, dell'incapacità di muoversi senza l'aiuto di quel maledetto bastone, che era una cosa terribile, raggiungere una bella età e non sapere più cosa fare con la noia e la mancanza di prospettive. E quei tetti tutt'intorno, il fruscio delle ali dei piccioni nell'aria, il rumore delle auto in sottofondo avevano fatto da sottofondo alla sua scrollata di spalle, alla sua accettazione di non andare a bere un bicchiere di rosé dai calici di una volta, né alla scomparsa, si potrebbe dire improvvisa, del cinema Pedro Cem, del Petúlia e delle birrerie che avevano cementato la vita in quei luoghi della zona, tanto tempo fa. Quelli che se lo ricordavano erano una mezza dozzina che ancora respirava, tra ricordi nostalgici e sospiri interrotti dalla ricerca di una zona di comfort, dall'ora di punta della città e dal successivo susseguirsi delle routine, che era già tardo pomeriggio, che la notte sarebbe arrivata a portare luce e fantasia ai più giovani e che i cicli contenevano, dentro di sé, storie che raccontavano i cambiamenti e gli eventi che sarebbero stati ricordati, per rendere giustizia a coloro che se ne erano andati e che continuavano ad abitare quegli spazi, ancorati ai ricordi di coloro che ancora li conservavano, come il signor Gervásio, come Oliveira dei Giornali, o il mozambicano Graçolino che calpestava i lupini, togliendosi i mantelli, per sua moglie su quella terrazza, quando i pomeriggi d'estate cadevano, in passato, e il cielo, oggi, era lo stesso di quei giorni, quando il pomeriggio cadeva e dipingeva di viola e arancioni un cielo terso, caricandosi di luci e musica, promettendo l'eternità a tutti coloro che credevano che il futuro fosse fatto di questi bei momenti. Non esistevano ancora quegli edifici in cui venivano proiettati i film d'epoca, ma c'era sempre qualcosa di futuristico che emergeva negli occhi di coloro che scrutavano lentamente il tempo, in una contemplazione piena di gratitudine per il presente e di fede in un lontano sogno d'infanzia.
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