Foglie toccate dal vento

 




Padre, tutta la vita è preziosa o solo quella dei vili? È obbligatorio aspirare alla felicità o solo un'ambizione senza scrupoli? E i figli della pace, fanno forse parte dell'eredità perversa di coloro che praticano la malvagità? C'è qualche legge iniqua tra i tuoi figli e gli altri che sono anch'essi disuguali? C'è impunità per coloro che erigono confini in un pezzo di territorio o i criminali sono risarciti da trattati di discordia? Esiste un inferno dell'Eden o siamo tutti misurati dalla follia del male? Padre, è stata una sfortuna essere nato qui o, alla fine della mia vita, ringrazierò la sofferenza e la prenderò come una lezione di umanità?
Papà, perdonaci, ma gli assassini di bambini hanno anche dei bambini che mandano in guerra? E gli affetti, padre, sanno cosa vuol dire sentire la perdita ombelicale di un sogno? E l'empatia, padre, può essere contagiosa, come l'ambizione? E se gli orfani nascono in guerra, perché non ci contagiate con la pace? Papà, qual è il mistero sulla terra che contiene la palla gigante che abitiamo, chiamata il mondo? Cosa ci aspetta dopo la rottura del velo, del cielo, del grembo materno che ci ha accolto e cacciato? Chi ci ha respinti o Dio ci ha scelti per ingannare? E cos'è la nascita, se quando promette la vita fuori, sa di morte dentro, anche quando non si vede subito l'esito e porta tanti danni? La vita è un pugnale per l'orfano, o siamo tutti orfani nel mistero e nel conteggio finale? Quale dolce magia si annida tra il giorno e la notte, quale dubbio squarcia l'attimo, tra un bacio e una frusta, e chi definisce la categoria o il destino? Se il destino è lungo o accorciato dalla palla chiusa, senza una spiegazione, senza nulla che ci faccia sapere dove culmina, nella rottura di una stima, chi ci porta il pane o i dolori, chi assaggia le nostre lacrime e vi aggiunge sale o zucchero? Perché l'infanzia è l'orsacchiotto della nostra ingenua ignoranza, gli occhiali dei miopi a caratteri cubitali dell'obitorio, e cresciamo avvolti dalla menzogna delle leggende, del per sempre e mai più, e ci lascia tra lo stupore e l'incredulo! Che cos'è l'amore, di che pasta sono fatte le stelle, da dove veniamo, quando arriviamo e dove viaggiamo quando partiamo da qui, verso l'arido pezzo di terra, spogliando il cemento e i corpi putrefatti, e se è vero che uno più uno fa due e l'amore è uno e incondizionato, dove nasciamo dopo?
Papà, dimmi perché la notte si allunga, quando indossiamo rughe e curvature e stanchezza, quando tessiamo preghiere nelle albe d'inverno, sopraffatti dall'incertezza, stringiamo i pugni e gli occhi e, pur contando le stelle, le costellazioni, l'orsa maggiore siamo noi, Cassiopea ci indica dei percorsi, intenzioniamo, papà, che le giornate si restringono in questa idea di fine e fine,  Se tagliano corto saluti e studiano le condizioni, ripetendo al contrario la solidarietà, i fondamenti strutturali, l'umanità, le gestazioni, gli obblighi continui, continuativi, stando svegli in noi, se c'è la saggezza, le stagioni, che portano fiori, foglie, frutti e ci sradicano, senza scelte, per quanto compresse e rarefatte, resta l'ossigeno della vita,  Ma perché allora, questo dolore al petto? Non parlateci di fortuna.
Papà, cosa facciamo quando sentiamo arrivare il momento, dove l'incrocio, per secondi, ferma il diapason, e in quell'intervallo di ottava, dove sono tutti, dove sono gli altri, dove sei tu, che non vediamo arrivare il colpo, il muro scuro, i capelli bianchi, la tromba dell'ultimo trasporto? A che cosa si fermerà il nostro polso, come un sobbalzo sul treno che arriva alla stazione, il cuore, senza premeditazione o improvvisazione, senza rete, senza trapezi, senza preavvertimenti, quale completamento raggiungerà? E dove scorreranno i gemiti pieni di paura del domani, che offuscheranno i sensi, i giudizi di ciò che c'era e non c'è più?  Papà, dal grembo materno che si è aperto, il principio della memoria scomparirà, come è scomparso, lì, vagando dentro il buco della storia, che custodiamo nel libro della vita, nella nuvola, nel carattere del vento, nell'amico immaginario, in quel pezzo di polvere della memoria, nell'estuario del fiume, e se so che sei con me, perché ci sentiamo soli? 

Papà, negaci tutto, toglici questa triste sensazione, di abbandono e riporta l'estate, un canto d'autunno, un mare agitato, riduci le frecciate e il sarcasmo dei perduti e dei ritrovati e portaci le risate facili, la modalità dei nuovi inizi, l'alba dei sogni, perché sono incubi che viviamo, che vivono con noi, dicci, è per punizione o per promozione? E dove va la speranza, papà, dov'è il tuo affetto, che perché siamo bambini, tante volte non vediamo in faccia a chi si prende cura di noi, quale disattenzione ti ha preso per non avvertirci che siamo nati soli e anche lasciati uguali o è tutto illusorio, di questa realtà di cui parlano così bene e che è solo un luogo comune,  irreale?
E che la vita può essere una morte rimandata, un presente avvelenato, a cui non partecipiamo, e non sappiamo tutto, origine, progresso, capitolazione, niente, niente, dimenticare! che le domande sono tante e il tempo dimentica di crescere, e la sete cresce con la solitudine e noi abbiamo solo una panchina di strada, per sederci e pensare che non sappiamo nulla, che nessuno ci avverte di questa particolare ingestione, di questo varco dove vive il dolore, quando tutto spumeggia e poi tutto si accumula,  Rimangono solo i Goti nella marea dei nostri sogni, del danno che si impossessa di noi, quando perdiamo gli altri, genitori, genitori, dove si conservano i dolori, dove si nascondono i nostri guardiani, e le ferite che tornano sempre alla fine di una giornata e solo loro non dimenticano mai di tornare!Perché i genitori non sono come le onde del mare che vanno e vengono ogni sette, che ogni volta che se ne vanno non tornano, se non per ossessionare il futuro, perché non sono mai partiti per noi, e la speranza è solo una povera parola logora, che promette più di quanto non mantiene. E ripete fin dall'inizio questo principio infinito, colossale. Tante foreste oscure, tanta orfanezza volontaria.
Lo so, non possiamo chiedere di più, ma rispondeteci solo questa volta, dove crescono le braccia, i rami, i remi della nave, i legami, le radici di cui ci prendiamo cura, interrotti dal freddo nel sangue che defluisce nell'humus, se tutto è il blackout del giorno, nella notte di un corpo che si è dimenticato di albeggiare? Vedi, non ti abbiamo sentito rispondere! Ci dice papà, di che pasta è fatto l'amore, quando arriva come una croce, e in ginocchio, ci riduce a una mezza dozzina di mormorii, di auguri, di un presente di cui si fa protagonista assente, e ci lascia svanire, prima ci fa cenno la motivazione per combattere i siluri e le tante paure e, arrivando alla spiaggia, proprio lì,  Nella sabbia, tra rocce e ombre ancestrali, si muore?


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