Mi resta ancora così tanto
Tutto fa parte di questo vuoto eterno e incolmabile. Il pezzo del puzzle, l'incastro, l'accordo semplice, l'assenza del tuo sorriso, il contorno del tuo corpo nel profilo lontano del sogno, così lontano, oggi, così imperfettamente sereno, questo abbandono del mondo, e la scienza del tuo umorismo, il tuo respiro caldo, il calore della tua presenza, la tortura di perderti, la difficile, impossibile incidenza del tuo sguardo su di me, La coincidenza di mettere le nostre volontà nello stesso spazio per un secondo, il tempo, il legame, il nodo sciolto, l'abbandono, la gioia di un dolore cornuto senza fine, per me, qui, il silenzio che solo la musica copre. Che solo tu puoi riempire d'amore. E rimuginare in questo abisso senza fondo, che non vederti possa essere la punizione perfetta, il modo più a destra dell'universo per dire morto. Tutto è morto, in te, per me, tutto è scomparso, invece di aggiungere, ha marciato, se n'è andato, come il cristallo più bello, tutto è onirico, il più satirico che abbia mai vissuto, porte e finestre chiuse, tutto si è schiantato intorno a me, aspettando te e una targa spettrale, razionale ed empirica, finita, amore mio, amore mio, proprio come tutto il resto, disastroso, distaccato, dimenticato, nascosto, perduto, morto di morte accidentale, meno male, sei sopravvissuto al tempo e io sono ombra, penombra della notte che si arrampica, stupore, incubo, e nonostante la verbalizzazione, manifesto nostalgia, che si dispone come sedie, sotto il tavolo, che si dispone accanto al bancone in un vaso di fiori, la sgradevolezza nell'acqua, Sulla tavola, nella cava, nascosto, custodito, compreso, l'amore si perde come si perdono le spalle nelle camicie dove è rimasta la stoffa, negli abiti, Nelle combinazioni di giorni, pazzi spazzati via, sensazioni, come tende al vento, che rivelano zone vulnerabili, proteste, nudi, realizzate solo le intenzioni di vederti, di abbracciarti, di sentirti vivo, come negli altri giorni, in tutto uguale a questo, con il sole, con le risate e persino con le lacrime, giorni che tengono le ore, che corrono sotto i tappeti, quella crosta nell'anima e pungere come spilli da signora, le protuberanze di gonfiore negli occhi, la morbidezza del carattere, l'eloquenza del verbo per dire che ti amo, senza offenderti, il cadavere dell'amore si distende in disordine, e si arrampica sui muri e scende tra la cucina, entra nei pasti quotidiani, nei tè pomeridiani, nelle notti limpide della luna piena, che guardo ancora il cielo per raccontarti di te, per piangere per la tua nostalgia, La stranezza di non poterti amare nel corpo, nella presenza, nell'abbraccio che desidero come la ricchezza più grande, il tesoro che gli dei mi hanno portato dentro, per vivere dentro, con me, per accompagnarmi ovunque, come un destino, un fado, per essere amato, tanti cari perduti, nonna Bina, Dina, Almerinda, Lina, la ragazza blu, io, la ragazza che vive ancora dentro, persa nel tuo petto, ed è quello che voglio che tu sappia, che mi trasporti, che mi porti ovunque, senza nemmeno saperlo, che sto tessendo seta sul tuo petto, tessendo la luce del mondo, di un'attesa in più, di un'eternità che si posa sulla finestra dei tuoi occhi e bagna i miei occhi, Estatica nella bellezza di ciò che vedi intorno a te, del poeta che vive in te, ma sempre, sempre lasciandomi con questo desiderio come una ruota, un fazzoletto bianco, un immenso mare di riparo per il mio desiderio, una mite ferita da accarezzare, un torpore, un brivido di dolore, un'ambiziosa contemplazione, una giornata grigia e un'altra che non, Quel no, e un altro che sì, i girasoli che sorridono come uncini per i tuoi occhi, tu, l'oro dei miei giorni, che cresce in altre dita, in altri soli, e io incollato ai tuoi ritratti, mi abbandono al mondo emergente, che rimanendo onirico e coltivo il paesaggio, come se ricamassi il coraggio di lasciarti andare, che insiste ad arrivare, che insiste, come io insisto a sognare te, come l'amore insiste a conservare, a restare, quando aveva bisogno di lasciarti, quando aveva bisogno di me tutto in un altro posto, in un'altra latitudine, un mare che mi aspettava, ma tu rimani e io non so come dimenticarti. Apprendo altre cose, che le giornate cominciano ad accorciarsi, che ci sono virus e batteri, cadute di imperi, strisce di Gaza in fiamme, guerre e beatificazioni, ministri e decorazioni, udienze programmate per un altro 11 settembre, feste e celebrazioni e la signora dell'agonia, che è venuta a stare con me, quelle dorate nel piatto, condite e in attesa che le patate finiscano di cuocere, di essere grigliate, ma concretamente, nella vicissitudine oggettiva della foglia, proprio non lo so perché ostinatamente non imparo a lasciarti andare. E portami a una nuova longitudine di te. Non voglio ricordartelo, ma mi è rimasto sempre tanto, dentro, che tu esca, che ti spingi fino alle pagine del mio diario, che mi soffochi di ricordi, che mi prendi tra le mani e mi fai descrivere questo dolore cronico acuto dell'attesa di te nello scisma del non capire il silenzio che pure rimane, di cui non ho bisogno, che ci si aspetta anche di rompersi e di essere prodotto con quel no rotondo che ti meritavo. Prendi, per favore, la signora dell'agonia, perché so trattenere un sorriso immaginando la tua gioia.
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